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mercoledì 24 ottobre 2012

La Gramadora

... il giorno in cui si faceva il pane tutti si alzavano la mattina presto: era venuto il momento in cui tanta fatica veniva premiata dal profumo del pane fresco. L'azdôra prelevava l'impasto, e' spasël, dalla matréna e lo lavorava un po' a mano. Poi passava alla gramola, la grâma, un'attrezzatura che di solito era azionata da un uomo dato il grande sforzo fisico che richiedeva l'operazione. La donna rivoltava più e più volte e' spasël sotto l'asta della gramola fino a quando l'impasto risultava compatto e omogeneo. Lo lasciava lievitare ancora un paio di ore. Dopo di che lo tagliava in tanti pezzetti e con le mani li sagomava nelle diverse forme in uso nel nostro territorio: la tîra, e' mirunzin, e' mirôn la pagnòca, e' ciupèt ed altre. Una quantità di impasto della dimensione di un pugno veniva conservata in una tazza coperta da un tovagliolo. Essa fungeva da lievito per la produzione del pane della settimana seguente. Quando il pane era completamente lievitato veniva messo nel forno alla giusta temperatura con una pala detta la panéra. La bocca del forno veniva chiusa con la botola, la böta, e si aspettava che il pane cuocesse. Una volta estratto dal forno lo si poneva dentro ad una credenza, un tracantôn, una madia, màtra, oppure lo si lasciava sull'asse del pane coperto da un telo. La quantità prodotta doveva bastare almeno per una settimana.

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